Sessanta percento. È questa la cifra del gradimento presso l’elettorato italiano dei due partiti al governo. La luna di miele continua? Temo che ci sia più di una “luna di miele”. Il sogno della democrazia partecipativa fatta di conoscenza e cultura, responsabilità e capacità di intervento, rispetto, confronto e dialogo sembrano evaporare, grazie anche alla confusione che regna nel restante 40 percento (più tutti quelli che a votare non ci sono andati). Si tratta, questa che abbiamo delineato, di una democrazia lontana anni luce da quella dei cinguettii o delle bufale sui social che stanno cercando di farci ingoiare come il toccasana di tutti i limiti della democrazia elettorale. Salvo, poi, usare bufale e cinguettii - a milioni, anche prefabbricati in serie - proprio per raggiungere quella maggioranza che legittima qualsiasi presa di potere.
Il problema è che essere maggioranza democraticamente eletta non vuol dire essere i migliori. E nella storia, così come nella vita comune, gli esempi sono infiniti e lampanti. Per questo la democrazia è fondamentalmente una questione di cultura molto più che di numeri. Il problema è quindi: c’è abbastanza diffusa cultura, da noi come nel resto del mondo, perché l’esercizio del diritto del voto, come previsto nei sistemi democratici, porti al potere il meglio (possibilmente), o il “quasi meglio” di una comunità complessa come è quella di uno Stato? La domanda sembra retorica ma non lo è. È una domanda che continuano a farsi, sinceramente preoccupati, coloro che non vedono ancora in un sistema diverso da quello del voto la salvaguardia di quei diritti universali che la storia moderna ci ha consegnati a prezzo di sacrifici enormi e sofferenze inenarrabili. Su che cosa, allora, ancora contare? E come e dove trovare luoghi e persone disposti a capire e a studiare per scegliere e non per “farsi scegliere”? È evidente che, messo così, il nostro, più che un problema di democrazia o di rappresentatività, è un problema di libertà.
La risposta alla prima domanda è semplice e antica: la scuola. Ma attenzione, è scuola non solo quella degli edifici fatti di aule piene di banchi. È scuola qualsiasi ambiente, qualsiasi comunità dove ci si confronta, si dialoga, si scambiano esperienze, progetti e speranze, si lavora e si prega insieme. Sono questi
luoghi e queste
persone la risposta alla seconda domanda. Una risposta non facile perché si richiede lo sforzo della onestà intellettuale e della libertà del pensiero dai condizionamenti della massa e della propaganda. È in queste
piccole piazze (è così che le chiama il prof. Marco Vitale in una
lettera di auguri per l’apertura di questo sito) che la democrazia partecipata assume valore e diventa sostanza.
Utopia? No. Faticoso sì, ma nulla di più lontano dall’utopia. Perché basta guardarsi attorno per scoprire che di queste piccole piazze ce ne sono moltissime, dappertutto, e che ognuna persegue questo ideale a suo modo. Nonostante il rumore assordante e il chiacchiericcio instancabile di quelli che arringano o accarezzano le masse etero-condizionate ed etero-guidate. Nonostante il cicalìo di cellulari e ipad, che sono oggetti preziosi ma anche formidabili strumenti di
distrazione di massa.