Un poliziotto porta via il cadavere di un bambino (Aylan Kurdi) trovato sulla sabbia a Bodrun, Turchia
Un poliziotto porta via il cadavere del piccolo Aylan Kurdi (2 anni) trovato sulla sabbia a Bodrun, Turchia
Aylan Kurdi
...può una foto salvare la vita di mille rifugiati?
di Chaker Kazzal
La foto del corpo senza vita del bambino siriano trovato faccia in giù nella sabbia in Turchia ha commosso il mondo e ha aperto una finestra su quanto sta avvenendo in seguito a una devastante crisi in Medioriente
ran parte del mondo ha visto l’immagine del poliziotto turco portare via il corpo senza vita di un bambino siriano portato dalle onde sulla spiaggia di una delle più esclusive mete turistiche della Turchia. Il piccolo, che poi è stato identificato come Aylan Kurdi, tre anni, era stato trovato il 2 settembre del 2015, viso in giù sulla sabbia. Alcuni di coloro che si trovavano sulla spiaggia hanno catturato le immagini di questo momento straziante e le foto e i video hanno dominato sui social media e sui notiziari internazionali.
Aylan era uno di una dozzina di rifugiati siriani che per fuggire dalla guerra civile erano annegati nel tentativo, fallito, di attraversare il Mediterraneo per raggiungere l’isola greca di Kos. La madre del bambino e un fratello più grande vennero trovati un po’ più lontano, sulla stessa spiaggia. Ambedue erano annegati.
La circolazione, a un ritmo allarmante, di queste immagini hanno acceso una controversia online sull’etica di esibire le foto di un bambino morto. Numerose testate giornalistiche optarono, eventualmente, per la pubblicazione delle foto. In Gran Bretagna i giornali di tutto lo spettro politico, si unirono nella decisione di pubblicare le immagini in prima pagina. Molti, come “The Independent” accompagnarono le foto con una nota dell’editore nella quale si spiegavano le ragioni della pubblicazione. «L’Indipendent ha preso la decisione di pubblicare queste immagini perché, nel bla bla di cui “l’attuale crisi dei migranti” è spesso l’oggetto, è fin troppo facile dimenticare la situazione disperata in cui si trovano molti rifugiati», si legge nella nota. «Se queste immagini straordinariamente potenti di un bambino siriano morto portato su una spiaggia dalle onde non riesce a cambiare l’attitudine europea nei confronti dei rifugiati, che cosa potrà farlo?». L’impatto visivo delle immagini che sono state pubblicate è un punto di svolta capace di aprire sul mondo una rara finestra sulle circostanze della crisi che spinge all’esodo intere popolazioni in Medio Oriente.

Milioni di rifugiati hanno cercato di sfuggire o alla violenza che attanaglia i loro paesi, o alle dure condizioni dei campi profughi nei paesi confinanti.
Trovare una nuova casa non è facile, soprattutto perché alcuni dei paesi più ricchi della regione si sono rifiutati di accogliere queste persone. Molti altri, rendono difficile per i rifugiati la rilocazione in una condizione di piena legalità, consegnandoli ad una situazione di incertezza sia per quanto riguarda gli aiuti, sia per quanto riguarda la possibilità di lavoro.
Alcuni giornali hanno scelto di non pubblicare le immagini. Vox Media è preoccupata del fatto che le immagini stanno sostituendo il sentimento della compassione con quello della eccitazione morbosa.
Comprendo pienamente il desiderio di non condividere, e nemmeno dare uno sguardo alle foto di questo piccolo bambino. È indubbio che queste immagini sono estremamente faticose. Ma per quelli di noi che hanno seguito la crisi degli esodi, il destino della famiglia di Aylan - anche se indubbiamente tragico - non è una sorpresa.

L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni riporta che nel 2015 più di 2700 persone sono morte nel tentativo di attraversare il Mediterraneo per approdare in Europa, rendendo questo mare il più mortale snodo migratorio del mondo. E tuttavia questo è solo una delle molte pericolose vie che i migranti disperati decidono di percorrere. Gente che spesso non hanno nessun altro posto in cui andare eccetto che i campi superaffollati allestiti nei paesi confinanti come la Giordania, la Turchia o il Libano.
In uno studio del 2015 dell’Alto commissariato per i Rifugiati delle nazioni Unite (UNHCR), si legge che due terzi dei siriani rifugiati in Giordania vivevano al di sotto della soglia internazionale di povertà. Con meno di 40 dollari al mese a persona per vivere, i ricoveri per i rifugiati sono spesso privi delle più elementari necessità come il riscaldamento, l’elettricità e i fondamentali servizi idrici.
A causa di questa terribile situazione, molti rifugiati si affidano a forme di assistenza che arriva da fuori, come è per il UN World Food Programme. E tuttavia, proprio questa organizzazione all’inizio dell’anno denunciava il fatto che il danaro per dar da mangiare ai rifugiati si stava esaurendo. E che all’inizio di luglio il budget per l’assistenza con generi alimentari ai rifugiati era stato tagliato di 1,6 milioni di dollari.

L’immagine del piccolo Aylan, rifugiato, dà un volto a una tragedia che è impossibile da afferrare soltanto con le parole. La sua famiglia è diventata una delle molte migliaia che hanno perduto la vita alla ricerca di una esistenza più umana.
Così, mentre è naturale sentirsi a disagio nel condividere le immagini di una tale tragedia, abbiamo il dovere di capire l’importanza di documentare conseguenze così catastrofiche.
Nonostante quest’anno siano già morti migliaia di migranti nell’attraversare il Mediterraneo, l’immagine di quell’unico bambino annegato ha cambiato il modo di guardare a questa catastrofe di interi paesi.
Finora la comunità internazionale si è sforzata di trovare una soluzione definitiva alla crisi dei rifugiati del Medio Oriente che è in atto. Andando indietro, più di 65 anni fa, all’origine di questa situazione c’è la diaspora di un milione di palestinesi, conseguenza del conflitto arabo-israeliano del 1948.

Prima che la famiglia di Aylan si imbarcasse per il suo ultimo viaggio, la zia Tima Kurdi aveva cercato di accreditarli come rifugiati presso il consolato canadese. «Stavo cercando di fare da sponsor e con amici e vicini ci siamo adoperati per depositare in banca quanto era necessario» ha detto la Kurdi all’Ottawa Star. «Non siamo riusciti a farli espatriare, ed è per questo che hanno deciso di andar via con un battello».
Come è per migliaia di rifugiati curdi siriani in Turchia, alla famiglia di Aylan furono negati dalle Nazioni Unite lo status di rifugiati e dal governo della Turchia i visti di espatrio. Senza nessuno di questi documenti ufficiali l’ufficio Cittadinanza e Immigrazione del Canada era più che probabile che la richiesta di riconoscere loro lo status di rifugiati fosse respinta. L’unica alternativa rimaneva quella della barca.
Chris Alexander MP, il ministro canadese per la Cittadinanza e l’Immigrazione, disse che avrebbe sospeso la propria campagna elettorale per un altro mandato perché voleva andare ad Ottawa per accertarsi dei motivi per cui la famiglia di Aylan non aveva potuto ottenere lo status di rifugiati.

È indubbio che queste immagini hanno spinto la gente a prendere posizione – una azione che è conseguenza di una reazione. È diventato estremamente difficile per i leader mondiali ignorare la pressante speranza per una vita migliore di milioni di rifugiati. Speranza sulla quale sono pronti a scommettere anche la vita.
Kim Murphy, Assistant Managing Editor del Los Angeles Times, sezione Esteri e Interno, ha posto con forza il problema di quanto sia importante per la gente continuare a scambiarsi immagini che generano emozione e innalzano il livello di consapevolezza della crisi migratoria in atto. «L’immagine non è offensiva, non è violenta, non è priva di delicatezza – è solo profondamente commovente e rivela in modo diretto e immediato la tragedia umana nascosta che si sta consumando in Siria, in Turchia e in Europa, spesso senza testimoni» ha detto Murphy. «Abbiamo scritto centinaia di storie di immigrati trovati morti in barche che si erano capovolte, all’interno di tir infuocati, su binari solitari, ma è stata necessaria la vista di quel piccolo bambino su una spiaggia per portare la realtà in casa di quei lettori che ancora potrebbero non aver bene afferrato l’ordine di grandezza della crisi migratoria».

La forte reazione su scala mondiale generata da queste immagini pone il problema della necessità di una maggiore consapevolezza da parte di paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, che non si sono particolarmente distinti nell’aiutare ad alleviare il peso delle migrazioni dal Medio Oriente.
L’International Rescue Committee riporta che gli Stati Uniti [nel 2015 ndr] hanno accolto solo 1541 degli oltre 4 milioni di rifugiati siriani dall’inizio della guerra civile 5 anni fa [ora 8 anni ndr]. Contrariamente, la Germania ha in programma di accoglierne circa 800.000 per il 2016. Una mappa postata via twitter da Luay Al-Khatteeb, un “non resident scholar” presso la Brookings Institution mostra la differenza che esiste fra gli Stati Arabi e il Golfo Persico rispetto ad altri paesi quali la Giordania, il Libano e la Turchia per quanto riguarda l’aiuto ai rifugiati.
Grazie agli appelli che si sono levati grazie alla diffusione di queste immagini ci saranno indubbiamente pressioni molto maggiori su quei paesi perché aprano le loro frontiere ai rifugiati nel momento del bisogno.
È stato così per il Primo Ministro inglese David Cameron quando parlando della gente che sta fuggendo dalla Siria e dall’Afghanistan li ha paragonati a uno “sciame”. Le immagini di Aylan hanno suscitato una tale pubblica autocritica che il paese ha reagito annunciando che avrebbe accolto fino a 20.000 rifugiati per la fine del 2020. «L’intero paese si è profondamente commosso per le strazianti immagini che abb9iamo visto negli ultimi giorni» ha detto il Primo Ministro. «È assolutamente giusto che la Gran Bretagna non venga meno alla responsabilità di aiutare quei rifugiati proprio come abbiamo orgogliosamente fatto nel corso della nostra storia».

Immagini capaci di creare responsabilità rimangono un elemento cruciale per coinvolgere la popolazione e le importanti figure pubbliche nella ricerca di soluzioni che portino a risultati significativi.
Se un’immagine vale mille parole, non potrebbe anche salvare mille vite umane?

Fonte: www.arabianbusiness.com
(traduzione di Maria Mezzina)